Attilio Regolo, Parigi, Hérissant, 1781

 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Sala terrena corrispondente a’ giardini.
 
 REGOLO, guardie africane, poi MANLIO
 
 REGOLO
 Ma che si fa? Non seppe
905forse ancor del Senato
 Amilcare il voler? Dov'è? Si trovi;
 partir convien. Qui che sperar per lui,
 per me non v'è più che bramar. Diventa
 colpa ad entrambi or la dimora. Ah vieni, (Vedendo venir Manlio)
910vieni, amico, al mio seno. Era in periglio
 senza te la mia gloria; i ceppi miei
 per te conservo; a te si deve il frutto
 della mia schiavitù.
 MANLIO
                                       Sì; ma tu parti;
 sì; ma noi ti perdiam.
 REGOLO
                                           Mi perdereste,
915s'io non partissi.
 MANLIO
                                 Ah perché mai sì tardi
 incomincio ad amarti! Altri finora,
 Regolo, non avesti
 pegni dell'amor mio, se non funesti.
 REGOLO
 Pretenderne maggiori
920da un vero amico io non potea; ma pure
 se il generoso Manlio altri vuol darne,
 altri ne chiederò.
 MANLIO
                                  Parla.
 REGOLO
                                               Compito
 ogni dover di cittadino, alfine
 mi sovvien che son padre. Io lascio in Roma
925due figli, il sai, Publio ed Attilia; e questi
 son del mio cor, dopo la patria, il primo,
 il più tenero affetto. In lor traluce
 indole non volgar; ma sono ancora
 piante immature e di cultor prudente
930abbisognano entrambi. Il ciel non volle
 che l'opera io compissi. Ah tu ne prendi
 per me pietosa cura;
 tu di lor con usura
 la perdita compensa. Al tuo bel core
935debbano e a' tuoi consigli
 la gloria il padre e l'assistenza i figli.
 MANLIO
 Sì, tel prometto; i preziosi germi
 custodirò geloso. Avranno un padre,
 se non degno così, tenero almeno
940al par di te. Della virtù romana
 io lor le tracce additerò. Né molto
 sudor mi costerà. Basta a quell'alme,
 di bel desio già per natura accese,
 l'istoria udir delle paterne imprese.
 REGOLO
945Or sì più non mi resta...
 
 SCENA II
 
 PUBLIO e detti
 
 PUBLIO
 Manlio! Padre!
 REGOLO
                               Che avvenne?
 PUBLIO
 Roma tutta è in tumulto; il popol freme;
 non si vuol che tu parta.
 REGOLO
                                              E sarà vero
 che un vergognoso cambio
950possa Roma bramar?
 PUBLIO
                                          No, cambio o pace
 Roma non vuol; vuol che tu resti.
 REGOLO
                                                              Io! Come?
 E la promessa? E il giuramento?
 PUBLIO
                                                              Ognuno
 grida che fé non dessi
 a perfidi serbar.
 REGOLO
                                 Dunque un delitto
955scusa è dell'altro. E chi sarà più reo,
 se l'esempio è discolpa?
 PUBLIO
                                              Or si raduna
 degli auguri il collegio; ivi deciso
 il gran dubbio esser deve.
 REGOLO
                                                  Uopo di questo
 oracolo io non ho. So che promisi;
960voglio partir. Potea
 della pace o del cambio
 Roma deliberar; del mio ritorno
 a me tocca il pensier. Pubblico quello,
 questo è privato affar. Non son qual fui;
965né Roma ha dritto alcun sui servi altrui.
 PUBLIO
 Degli auguri il decreto
 s'attenda almen.
 REGOLO
                                 No; se l'attendo, approvo
 la loro autorità. Custodi, al porto. (Agli africani)
 Amico, addio. (A Manlio partendo)
 MANLIO
                              No, Regolo; se vai
970fra la plebe commossa, a viva forza
 può trattenerti; e tu, se ciò succede,
 tutta Roma fai rea di poca fede.
 REGOLO
 Dunque mancar degg'io?
 MANLIO
                                                 No; andrai; ma lascia
 che quest'impeto io vada
975prima a calmar. Ne sederà l'ardore
 la consolare autorità.
 REGOLO
                                         Rimango,
 Manlio, su la tua fé; ma...
 MANLIO
                                                 Basta; intendo.
 La tua gloria desio
 e conosco il tuo cor; fidati al mio.
 
980   Fidati pur; rammento
 che nacqui anch'io romano;
 al par di te mi sento
 fiamme di gloria in sen.
 
    Mi niega, è ver, la sorte
985le illustri tue ritorte;
 ma, se le bramo invano,
 so meritarle almen. (Parte)
 
 SCENA III
 
 REGOLO, PUBLIO
 
 REGOLO
 E tanto or costa in Roma,
 tanto or si suda a conservar la fede!
990Dunque... Ah Publio! E tu resti? E sì tranquillo
 tutto lasci all'amico
 d'assistermi l'onor? Corri; proccura
 tu ancor la mia partenza. Esser vorrei
 di sì gran benefizio
995debitore ad un figlio.
 PUBLIO
                                         Ah padre amato,
 ubbidirò; ma...
 REGOLO
                               Che? Sospiri! Un segno
 quel sospiro saria d'animo oppresso?
 PUBLIO
 
    Sì, lo confesso,
 morir mi sento;
1000ma questo istesso
 crudel tormento
 è il più bel merito
 del mio valor.
 
    Qual sacrifizio,
1005padre, farei,
 se fosse il vincere
 gli affetti miei
 opra sì facile
 per questo cor? (Parte)
 
 SCENA IV
 
 REGOLO ed AMILCARE
 
 AMILCARE
1010Regolo, alfin...
 REGOLO
                             Senza che parli, intendo
 già le querele tue. Non ti sgomenti
 il moto popolar; Regolo in Roma
 vivo non resterà.
 AMILCARE
                                  Non so di quali
 moti mi vai parlando. Io querelarmi
1015teco non voglio. A sostenerti io venni
 che solo al Tebro in riva
 non nascono gli eroi,
 che vi sono alme grandi anche fra noi.
 REGOLO
 Sia. Non è questo il tempo
1020d'inutili contese. I tuoi raccogli,
 t'appresta alla partenza.
 AMILCARE
 No. Pria m'odi e rispondi.
 REGOLO
                                                  (Oh sofferenza!)
 AMILCARE
 È gloria l'esser grato?
 REGOLO
 L'esser grato è dover; ma già sì poco
1025questo dover s'adempie
 ch'oggi è gloria il compirlo.
 AMILCARE
                                                    E se il compirlo
 costasse un gran periglio?
 REGOLO
                                                  Ha il merto allora
 d'un'illustre virtù.
 AMILCARE
                                    Dunque non puoi
 questo merto negarmi. Odi. Mi rende,
1030del proprio onor geloso,
 la mia Barce il tuo figlio e pur l'adora;
 io generoso ancora
 vengo il padre a salvargli e pur m'espongo
 di Cartago al furor.
 REGOLO
                                      Tu vuoi salvarmi!
 AMILCARE
1035Io.
 REGOLO
         Come?
 AMILCARE
                         A te lasciando
 agio a fuggir. Questi custodi ad arte
 allontanar farò. Tu cauto in Roma
 celati sol fintanto
 che senza te con simulato sdegno
1040quindi l'ancore io sciolga.
 REGOLO
 (Barbaro!)
 AMILCARE
                       E ben, che dici?
 Ti sorprende l'offerta.
 REGOLO
                                           Assai.
 AMILCARE
                                                         L'avresti
 aspettata da me?
 REGOLO
                                  No.
 AMILCARE
                                            Pur la sorte
 non ho d'esser roman.
 REGOLO
                                           Si vede.
 AMILCARE
                                                            Andate,
1045custodi... (Agli africani)
 REGOLO
                     Alcun non parta. (a’ medesimi)
 AMILCARE
 Perché?
 REGOLO
                  Grato io ti sono
 del buon voler; ma verrò teco.
 AMILCARE
                                                         E sprezzi
 la mia pietà?
 REGOLO
                           No; ti compiango. Ignori
 che sia virtù. Mostrar virtù pretendi
1050e me, la patria tua, te stesso offendi.
 AMILCARE
 Io!
 REGOLO
         Sì. Come disponi
 della mia libertà? Servo son io
 di Cartago o di te?
 AMILCARE
                                     Non è tuo peso
 l'esaminar se il benefizio...
 REGOLO
                                                   È grande
1055il benefizio inver! Rendermi reo,
 profugo, mentitor...
 AMILCARE
                                       Ma qui si tratta
 del viver tuo. Sai che supplizi atroci
 Cartago t'apprestò? Sai quale scempio
 là si farà di te?
 REGOLO
                              Ma tu conosci,
1060Amilcare, i Romani?
 Sai che vivon d'onor? Che questo solo
 è sprone all'opre lor, misura, oggetto?
 Senza cangiar d'aspetto
 qui s'impara a morir; qui si deride,
1065pur che gloria produca, ogni tormento;
 e la sola viltà qui fa spavento.
 AMILCARE
 Magnifiche parole,
 belle ad udir; ma inopportuno è meco
 quel fastoso linguaggio. Io so che a tutti
1070la vita è cara e che tu stesso...
 REGOLO
                                                       Ah troppo
 di mia pazienza abusi. I legni appresta,
 raduna i tuoi seguaci,
 compisci il tuo dover, barbaro, e taci.
 AMILCARE
 
    Fa' pur l'intrepido,
1075m'insulta audace,
 chiama pur barbara
 la mia pietà.
 
    Sul Tebro Amilcare
 t'ascolta e tace;
1080ma presto in Africa
 risponderà. (Parte)
 
 SCENA V
 
 REGOLO ed ATTILIA
 
 REGOLO
 E Publio non ritorna!
 E Manlio... Aimè! Che rechi mai sì lieta,
 sì frettolosa, Attilia?
 ATTILIA
                                        Il nostro fato
1085già dipende da te; già cambio o pace,
 fida a' consigli tuoi,
 Roma non vuol; ma rimaner tu puoi.
 REGOLO
 Sì, col rossor...
 ATTILIA
                             No; su tal punto il sacro
 Senato pronunciò. L'arbitro sei
1090di partir, di restar. Giurasti in ceppi;
 né obbligar può sé stesso
 chi libero non è.
 REGOLO
                                 Libero è sempre
 chi sa morir. La sua viltà confessa
 chi l'altrui forza accusa.
1095Io giurai perché volli;
 voglio partir perché giurai.
 
 SCENA VI
 
 PUBLIO e detti
 
 PUBLIO
                                                    Ma invano,
 signor, lo speri.
 REGOLO
                               E chi potrà vietarlo?
 PUBLIO
 Tutto il popolo, o padre; è affatto ormai
 incapace di fren. Per impedirti
1100il passaggio alle navi ognun s'affretta
 precipitando al porto; e son di Roma
 già l'altre vie deserte.
 REGOLO
                                          E Manlio?
 PUBLIO
                                                               È il solo
 che ardisca opporsi ancora
 al voto universal. Prega, minaccia,
1105ma tutto inutilmente. Alcun non l'ode,
 non l'ubbidisce alcun. Cresce a momenti
 la furia popolar. Già su le destre
 ai pallidi littori
 treman le scuri; e non ritrova ormai
1110in tumulto sì fiero
 esecutori il consolare impero.
 REGOLO
 Attilia, addio; Publio, mi siegui. (In atto di partire)
 ATTILIA
                                                              E dove?
 REGOLO
 A soccorrer l'amico, il suo delitto
 a rinfacciare a Roma, a conservarmi
1115l'onor di mie catene,
 a partire o a spirar su queste arene. (Partendo)
 ATTILIA
 Ah padre! Ah no! Se tu mi lasci... (Piangendo)
 REGOLO
                                                               Attilia, (Serio ma senza sdegno)
 molto al nome di figlia,
 al sesso ed all'età finor donai;
1120basta; si pianse assai. Per involarmi
 d'un gran trionfo il vanto
 non congiuri con Roma anche il tuo pianto.
 ATTILIA
 Ah tal pena è per me... (Piangendo)
 REGOLO
                                             Per te gran pena
 è il perdermi, lo so. Ma tanto costa
1125l'onor d'esser romana.
 ATTILIA
                                           Ogni altra prova
 son pronta...
 REGOLO
                          E qual? Co' tuoi consigli andrai
 forse fra i padri a regolar di Roma
 in Senato il destin? Con l'elmo in fronte
 forse i nemici a debellar pugnando
1130fra l'armi suderai? Qualche disastro
 se a soffrir per la patria atta non sei
 senza viltà, di', che farai per lei?
 ATTILIA
 È ver. Ma tal costanza...
 REGOLO
 È difficil virtù; ma Attilia alfine
1135è mia figlia e l'avrà. (Partendo)
 ATTILIA
                                        Sì, quanto io possa,
 gran genitor, t'imiterò. Ma... oh dio!
 Tu mi lasci sdegnato;
 io perdei l'amor tuo.
 REGOLO
                                        No, figlia; io t'amo,
 io sdegnato non son. Prendine in pegno
1140questo amplesso da me. Ma questo amplesso
 costanza, onor, non debolezza inspiri.
 ATTILIA
 Ah sei padre, mi lasci e non sospiri!
 REGOLO
 
    Io son padre e nol sarei
 se lasciassi a' figli miei
1145un esempio di viltà.
 
    Come ogni altro ho core in petto;
 ma vassallo è in me l'affetto;
 ma tiranno in voi si fa. (Parte con Publio)
 
 SCENA VII
 
 ATTILIA, poi BARCE
 
 ATTILIA
 Su, costanza, o mio cor. Deboli affetti,
1150sgombrate da quest'alma; inaridite
 ormai su queste ciglia,
 lagrime imbelli. Assai si pianse; assai
 si palpitò. La mia virtù natia
 sorga al paterno sdegno;
1155ed Attilia non sia
 il ramo sol di sì gran pianta indegno.
 BARCE
 Attilia, è dunque ver? Dunque a dispetto
 del popol, del Senato,
 degli auguri, di noi, del mondo intero
1160Regolo vuol partir?
 ATTILIA
                                      Sì. (Con fermezza)
 BARCE
                                              Ma che insano
 furor?
 ATTILIA
               Più di rispetto, (Come sopra)
 Barce, agli eroi.
 BARCE
                                Come! Del padre approvi
 l'ostinato pensier?
 ATTILIA
                                     Del padre adoro
 la costante virtù.
 BARCE
                                 Virtù che a' ceppi,
1165che all'ire altrui, che a vergognosa morte
 certamente dovrà...
 ATTILIA
                                      Taci. Quei ceppi, (S’intenerisce di nuovo)
 quell'ire, quel morir del padre mio
 saran trionfi.
 BARCE
                           E tu n'esulti?
 ATTILIA
                                                      (Oh dio!) (Piange)
 BARCE
 Capir non so...
 ATTILIA
                              Non può capir chi nacque
1170in barbaro terren per sua sventura
 come al paterno vanto
 goda una figlia.
 BARCE
                               E perché piangi intanto?
 ATTILIA
 
    Vuol tornar la calma in seno
 quando in lagrime si scioglie
1175quel dolor che la turbò,
 
    come torna il ciel sereno
 quel vapor che i rai ci toglie
 quando in pioggia si cangiò. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 BARCE sola
 
 BARCE
 Che strane idee questa produce in Roma
1180avidità di lode! Invidia i ceppi
 Manlio del suo rival; Regolo abborre
 la pubblica pietà; la figlia esulta
 nello scempio del padre! E Publio... Ah questo
 è caso inver che ogni credenza eccede;
1185e Publio ebro d'onor m'ama e mi cede!
 
    Ceder l'amato oggetto
 né spargere un sospiro
 sarà virtù; l'ammiro
 ma non la curo in me.
 
1190   Di gloria un'ombra vana
 in Roma è il solo affetto;
 ma l'alma mia romana,
 lode agli dei, non è. (Parte)
 
 SCENA IX
 
  Portici magnifici su le rive del Tevere. Navi pronte nel fiume per l’imbarco di Regolo. Ponte che conduce alla più vicina di quelle. Popolo numeroso che impedisce il passaggio alle navi. Africani su le medesime. Littori col console.
 
 MANLIO e LICINIO
 
 LICINIO
 No, che Regolo parta
1195Roma non vuole.
 MANLIO
                                  Ed il Senato ed io
 non siam parte di Roma?
 LICINIO
                                                 Il popol tutto
 è la maggior.
 MANLIO
                           Non la più sana.
 LICINIO
                                                           Almeno
 la men crudel. Noi conservar vogliamo
 pieni di gratitudine e d'amore
1200a Regolo la vita.
 MANLIO
                                E noi l'onore.
 LICINIO
 L'onor...
 MANLIO
                   Basta; io non venni
 a garrir teco. Olà; libero il varco
 lasci ciascuno. (Al popolo)
 LICINIO
                              Olà; nessun si parta. (Al medesimo)
 MANLIO
 Io l'impongo.
 LICINIO
                            Io lo vieto.
 MANLIO
                                                  Osa Licinio
1205al console d'opporsi?
 LICINIO
                                         Osa al tribuno
 d'opporsi Manlio?
 MANLIO
                                    Or si vedrà. Littori,
 sgombrate il passo. (I littori innalzando le scuri tentano avanzarsi)
 LICINIO
                                       Il passo
 difendete, o Romani. (Al popolo che si mette in difesa)
 MANLIO
                                          Oh dei! Con l'armi
 si resiste al mio cenno? In questa guisa
1210la maestà...
 LICINIO
                        La maestade in Roma
 nel popolo risiede; e tu l'oltraggi
 contrastando con lui.
 POPOLO
 Regolo resti.
 MANLIO
                          Udite; (Al popolo)
 lasciate che l'inganno io manifesti.
 POPOLO
1215Resti Regolo.
 MANLIO
                           Ah voi...
 POPOLO
                                             Regolo resti.
 
 SCENA ULTIMA
 
 REGOLO e seco tutti
 
 REGOLO
 Regolo resti! Ed io l'ascolto! Ed io
 creder deggio a me stesso! Una perfidia
 si vuol? Si vuole in Roma?
 Si vuol da me? Quai popoli or produce
1220questo terren! Sì vergognosi voti
 chi formò? Chi nudrilli?
 Dove sono i nepoti
 de' Bruti, de' Fabrizi e de' Camilli?
 Regolo resti! Ah per qual colpa e quando
1225meritai l'odio vostro?
 LICINIO
                                          È il nostro amore,
 signor, quel che pretende
 franger le tue catene.
 REGOLO
                                         E senza queste
 Regolo che sarà? Queste mi fanno
 de' posteri l'esempio,
1230il rossor de' nemici,
 lo splendor della patria; e più non sono,
 se di queste mi privo,
 che uno schiavo spergiuro e fuggitivo.
 LICINIO
 A perfidi giurasti,
1235giurasti in ceppi; e gli auguri...
 REGOLO
                                                           Eh lasciamo
 all'Arabo ed al Moro
 questi d'infedeltà pretesti indegni.
 Roma a' mortali a serbar fede insegni.
 LICINIO
 Ma che sarà di Roma,
1240se perde il padre suo?
 REGOLO
                                           Roma rammenti
 che il suo padre è mortal, che alfin vacilla
 anch'ei sotto l'acciar, che sente alfine
 anch'ei le vene inaridir, che ormai
 non può versar per lei
1245né sangue né sudor, che non gli resta
 che finir da romano. Ah m'apre il cielo
 una splendida via; de' giorni miei
 posso l'annoso stame
 troncar con lode; e mi volete infame!
1250No, possibil non è; de' miei Romani
 conosco il cor. Da Regolo diverso
 pensar non può chi respirò nascendo
 l'aure del Campidoglio. Ognun di voi
 so che nel cor m'applaude;
1255so che m'invidia, e che fra' moti ancora
 di quel che l'ingannò tenero eccesso,
 fa voti al ciel di poter far l'istesso.
 Ah non più debolezza. A terra, a terra
 quell'armi inopportune; al mio trionfo
1260più non tardate il corso,
 o amici, o figli, o cittadini. Amico,
 favor da voi domando;
 esorto, cittadin; padre, comando.
 ATTILIA
 (Oh dio! Ciascun già l'ubbidisce).
 PUBLIO
                                                                (Oh dio!
1265Ecco ogni destra inerme).
 LICINIO
 Ecco sgombro il sentier.
 REGOLO
                                              Grazie vi rendo,
 propizi dei; libero è il passo. Ascendi,
 Amilcare, alle navi;
 io sieguo i passi tui.
 AMILCARE
1270(Alfin comincio ad invidiar costui). (Sale su la nave)
 REGOLO
 Romani, addio. Siano i congedi estremi
 degni di noi. Lode agli dei, vi lascio
 e vi lascio romani. Ah conservate
 illibato il gran nome; e voi sarete
1275gli arbitri della terra; e il mondo intero
 roman diventerà. Numi custodi
 di quest'almo terren, dee protettrici
 della stirpe d'Enea, confido a voi
 questo popol d'eroi; sian vostra cura
1280questo suol, questi tetti e queste mura.
 Fate che sempre in esse
 la costanza, la fé, la gloria alberghi,
 la giustizia, il valore. E, se giammai
 minaccia al Campidoglio
1285alcun astro maligno influssi rei,
 ecco Regolo, o dei; Regolo solo
 sia la vittima vostra; e si consumi
 tutta l'ira del ciel sul capo mio;
 ma Roma illesa... Ah qui si piange! Addio.
 CORO DI ROMANI
 
1290   Onor di questa sponda,
 padre di Roma, addio.
 Degli anni e dell'obblio
 noi trionfiam per te.
 
    Ma troppo costa il vanto;
1295Roma ti perde intanto;
 ed ogni età feconda
 di Regoli non è.
 
 FINE